Dalla scarsità all'abbondanza

11.05.2013 12:42

Lo stile di vita alimentare dell’Italia di fine Ottocento –descritto dall’Inchiesta Parlamentare Jacini (1884) sulle condizioni dell’agricoltura italiana– è quello che ancora oggi possiamo trovare nei Paesi in Via di Sviluppo: poca varietà alimentare, pane come cibo principale, zuppe, minestre, “erbaggi” per non sentire la fame; tanto lavoro manuale, fatica fisica e cibo scarso.  

 

Lo stato di salute della popolazione italiana dell’epoca riflette le condizioni generali di inadeguata disponibilità alimentare: malnutrizione diffusa, bambini con crescita compromessa, anemie, rachitismo, alta mortalità infantile, menarca anticipato. I pochi alimenti erano scarsi e igienicamente insicuri e le tossinfezioni alimentari erano purtroppo assai ricorrenti.

 

Nel periodo tra le due guerre mondiali le disponibilità alimentari e lo stato nutrizionale italiano non migliorano sostanzialmente. Sono diffuse diete monotone che prevedono il consumo di pochissimi alimenti. Emblematico è il caso del mais, che nell’Italia di inizio Novecento diviene in breve tempo l’unico alimento a disposizione dei contadini più poveri. Essi infatti mangiano mais in quanto il grano può essere venduto a un prezzo doppio. La polenta di mais finisce quindi per sostituire nella dieta il pane di frumento, favorendo la diffusione della pellagra (carenza di vitamina B2) che, nel nostro Paese –particolarmente nel Veneto– ha continuato a lungo a mietere vittime.
 

Nei primi tre decenni del ’900 la ricerca scientifica in nutrizione si focalizza sul ruolo e la indispensabilità delle cosiddette “amine della vita”, le vitamine, e si impegna quasi esclusivamente sulle loro carenze e sui metodi più efficaci per prevenirle. Infine, vengono identificati i macronutrienti (proteine, grassi e carboidrati).
 

Allo scoppio della II guerra mondiale le restrizioni alimentari dei primi anni del ’900 diventano sempre più pesanti e diffuse: generi essenziali come carne, olio e zucchero sono un vago ricordo per la maggior parte degli italiani.
Con gli anni del boom economico i prodotti alimentari di pregio, la carne, il latte, i formaggi diventano accessibili a tutti. Lo stato nutrizionale migliora e le malattie da carenza scompaiono. La meccanizzazione in ambito agricolo e lavorativo riduce la spesa energetica e lascia più tempo per il riposo. Sono gli anni della carne tutti i giorni, della margarina e del burro al posto dell’olio di oliva, dell’allontanamento dalla dieta mediterranea, della sedentarietà diffusa e di un modello alimentare sempre meno frugale e conviviale, nel quale trova spazio anche il fast food.
 

La produzione agricola diventa intensiva e chiede alla ricerca agronomica nuove tecnologie di sfruttamento del terreno. Gli ultimi decenni del Novecento sono caratterizzati da un aumento delle malattie cronico-degenerative legate ad un eccesso di alimenti, di calorie, di grassi e di zuccheri e ad uno stile di vita sempre meno attivo che portano alla obesità e alle malattie ad essa correlate. Alla scienza della alimentazione oramai si chiede come assicurare una salute migliore, prevenire le malattie e vivere di più. Il consumatore, anche sull’onda delle emergenze alimentari –dalla mucca pazza all’aviaria–, diventa via via più consapevole di ciò che mangia e della necessità di una lettura attenta delle etichette.
 

Le vitamine e i minerali, ma anche gli antiossidanti, diventano “le molecole bioattive”, sostanze che prevengono l’insorgenza di malattie croniche. Nascono gli alimenti funzionali, arricchiti di nutrienti, in grado di promuovere certe funzioni fisiologiche e quindi di prevenire le malattie. Quegli “erbaggi”, quei pani integrali, così ricchi di antinutrienti per i contadini dell’Italia di inizio secolo, sono invece oggi elementi ricercati e ritenuti essenziali nell’alimentazione dell’uomo contemporaneo.

La disponibilità di alimenti in Italia: quanto ci si è allontanati dal modello della Dieta Mediterranea (Elaborazione INRAN su dati ISTAT e FAOSTAT, 2011).

 

Il primo decennio del nuovo millennio è caratterizzato dal rilancio della dieta mediterranea, che diventa Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità. È la riscoperta del modello alimentare dell’Italia rurale del primi anni dello scorso secolo, declinato però secondo canoni contemporanei. Via libera quindi alla frugalità (non più coatta) e alla convivialità, all’uso pressoché esclusivo di prodotti vegetali, alla quasi completa assenza di zucchero, all’attenzione all’insieme di quello che si mangia e non al singolo componente, ad uno stile di vita fisicamente attivo, al ritorno di modelli estetici e fisici “mediterranei” e sani, sempre più lontani dalle magrezze innaturali e patinate proposte dai media negli anni scorsi.

 

Fonte: Documento INRAN per i 150 anni dell'unità d'Italia